Mi trovo in una vasta pianura, il bagliore del sole scalda l’aria rendendo la giornata meno pesante. Io e i miei compagni siamo a caccia. Il nostro obiettivo è il maestoso Anjanath, una preda possente e spietata. Abbatterlo richiede coordinazione e strategia ma se riuscissimo nell’impresa, il bottino sarebbe inestimabile: materiali rari per forgiare nuove armi e una grande quantità di carne da spartirci.
All'improvviso, tra l'erba alta, compare un Kut-Ku solitario. È una preda facile, veloce da abbattere e garantirebbe un po’ di carne per la giornata senza correre troppi rischi.
A questo punto, un dilemma si fa strada nella mia mente:
Se mi allontanassi dai miei compagni per inseguire il Kut-ku, avrei la certezza di aggiudicarmi un piccolo quantitativo di risorse senza il rischio di lasciarci le penne. Rimanere coi miei compagni per la caccia all’Anjanath sarebbe sicuramente più fruttuoso ma fallire vorrebbe dire tornare a mani vuote ed esausti. A quel punto anche un semplice Kut-ku avrebbe la meglio e rischierei inutilmente la mia vita.
D’altra parte, restare uniti e affrontare insieme la caccia significherebbe correre un rischio elevato ma anche aspirare a una ricompensa succosa. Abbattere l’Anjanath ci garantirebbe provviste per giorni e il nostro rapporto di squadra si cementificherebbe ancora di più.
Silenziosamente mi ripeto: ”La caccia è fatta di scelte”
Rischiare per una ricompensa maggiore o accontentarsi del certo?
Mi guardo intorno, cercando di leggere negli occhi dei miei compagni la loro prossima mossa. “Se ci separiamo, rischiamo di perdere tutto” sussurra uno di loro, un altro fissa il Kut-Ku con occhi affamati. Il mio cuore batte forte, diviso tra la sicurezza di un pasto garantito e la gloria di un trofeo che potrebbe cambiarci la vita.
La situazione si sta facendo complessa ma la risposta rimane una:
Sbrigarsi.
L’Anjanath non è tipo da stare fermo troppo a lungo. Se perdiamo anche un solo istante, rischieremmo di perdere le tracce e di farci seminare. Il sole continua a scaldare la pianura e, dietro di me, il vento danza tra l’erba alta. Stringo con forza il mio arco e mi muovo.
Vedere l’ultimo del gruppo arrivare mi rassicura, ma come un fulmine in mezzo alla tempesta mi raffiora nella mente una delle lezioni più importanti che il maestro ha cercato di trasmettermi:
"Hanno catturato te e il tuo compagno", diceva con voce grave e sicura, "e vi dicono che se uno di voi parla, verrà liberato, mentre l’altro sconterà una condanna severa. Se scegliete entrambi il silenzio, la pena sarà leggera ma se entrambi confessate, sarà dura per tutti e due."
Poi si fermava, lasciandoci riflettere.
ogni volta che provavo a proporre soluzioni, mi correggeva con il suo immancabile tono freddo e sicuro: "Non fidarti, tradisci il tuo compagno e perché altrimenti sarà lui a tradire te", come se fosse l’unica legge che governa il mondo.
"Conta su te stesso, perché nessuno lo farà per te."
Ma ora mentre stringo l’arco e guardo i miei compagni cacciare l’Anjanath, quell’insegnamento mi suona come la cosa più folle al mondo.
Sbagliava. Quanto si sbagliava.
La vita non è una somma di scelte egoiste. Non è solo calcolo freddo e convenienza individuale. È decidere di spalleggiare i propri compagni per un bene comune.
Se ognuno di noi pensasse solo alla propria sicurezza, se scegliessi la via più facile: cosa resterebbe di noi come cacciatori, come gruppo, come compagni?